INAUGURATA LA MOSTRA "LE RADICI DELLA CARITA'": LA STORIA CREMONESE ATTRAVERSO LE OPERE DELLA FONDAZIONE
Inaugurata nella galleria PQV Fine Art la mostra che per la prima volta porta all'esterno 16 opere della collezione di Fondazione Città di Cremona, “Le radici della carità”. Soprattutto quadri, ma non solo, che spaziano dal 17° al 19° secolo, selezionati da Tiziana Cordani e Pietro Quattriglia Venneri, titolare della galleria, che testimoniano la lunga tradizione di carità della nostra città. Ritratti di donatori, rappresentazioni sacre e profane, e, come contributo della Galleria, l'inedita Sofonisba Anguissola della "Madonna con bambino, santa Elisabetta e san Giovannino" e il "S.Isidoro di Siviglia" del Genovesino.
La mostra durerà fino al 10 ottobre a palazzo Fodri (orario apertura da lunedì a venerdì 10-13 e 16-19); giovedi 30 settembre l’inaugurazione, alla presenza dei membri del cda della Fondazione Uliana Garoli (presidente), Fiorenzo Bassi e Paola Romagnoli, degli assessori Luca Burgazzi, Barbara Manfredini, Rosita Viola, delle autorità religiose e militari.
Dopo il saluto dell'assessore alla Cultura Burgazzi, la presidente Garoli ha inquadrato il senso dell'iniziativa: "Passiamo davanti a queste opere quasi tutti i giorni nella nostra sede, ma vederle qui esposte mi sembrano nuove e meravigliose. Sono la testimonianza vera di quello che è la Fondazione per la nostra città, frutto di donazioni, lasciti e acquisizioni fatte nel tempo, che è nostra cura preservare, mantenere e valorizzare". "Anche il palazzo nel quale ci troviamo è entrato a far parte del nostro patrimonio grazie alla lungimiranza dei miei predecessori, il presidente Lonardi e dopo di lui Spedini. Questo palazzo era vuoto e disabitato da tantissimi anni. E' stata una sfida farlo rinascere, adesso l'abbiamo vinta".
Di "patrimonio artistico eccezionale" racchiuso nel cuore di Cremona, ha parlato Pietro Quattriglia Venneri: "Sono innamorato di questa città, con un patrimonio artistico eccezionale e fondamentale per la pittura del Seicento: se non avessimo avuto tutto quello che è stato creato a Cremona nel Cinquecento probabilmente non avremmo neanche Caravaggio. Siamo in uno dei centri che sono stati cuori propulsivi dell'arte italiana".
E la mostra è l'esempio di quanto possa essere virtuosa la collaborazione tra pubblico e privato, "un piccolissimo aperitivo di quello che Cremona può offrire", ha concluso il gallerista lasciando intravvedere future collaborazioni.
Sullo stretto legame delle opere esposte con la storia cremonese, che in gran parte è storia della carità, si è soffermata Tiziana Cordani, riallacciandosi all'istituzione del Consorzio della donna del 14°secolo, primo nucleo dello statuto dell'attuale Fondazione. "Quando abbiamo qualcosa sotto gli occhi alla fine non la vediamo più e così finiamo con lo stare in mezzo alla bellezza e non accorgercene. Una bellezza che va conservata per il bene della comunità".
Non a caso tra le prime opere in mostra c'è una rappresentazione di S.Omobono, nella quale spicca anche l'antico stemma di Cremona, dove la "fortitudo mea in brachio" sta sopra, e non dentro, l'emblema laico della città, lo scudo cremonese.
In una veloce carrellata sulle opere più significative, Cordani si è poi soffermata sui ritratti dei donatori, "uno dei quali potrebbe essere il Gallarati", giureconsulto cinquecentesco, fondatore dell'Ospedale dei Poveri Vergognosi, emblema di una società di nobili e mercanti che ritenevano imprescindibile l'attività assistenziale. "Poco importa sapere se quello ritratto è veramente lui", ha detto Cordani, "quello che conta è il legame tra i francescani del primo Ospedale e il palazzo della Carità che sorgeva proprio di fronte, una di quelle realtà caritative che ha avuto per prima l'attenzione alle madri, ai figli, agli orfani, alle fanciulle oneste, alle vedove, alle donne malmaritate", un tema quest'ultimo ancora tristemente attuale ma che ha radici lontane.
E poi il ritratto della famiglia Amidani, con il nonno Sigismondo nell'atto di benedire l'unione tra il figlio Cornelio e la moglie, osservati sullo sfondo dai figli: un'opera nata nella cerchia delle sorelle Anguissola, come mostrano i profili scolpiti, i netti ovali dei volti, la coloritura avorio degli incarnati, rappresentazione di una società mercantile che sfoggia una ricchezza austera, e che non dimentica i poveri.
Il severo ritratto dell'imperatore Giuseppe II è forse l'unico in città, si trovava negli uffici della Prefettura, e ci riporta al periodo della dominazione asburgica, quando alle varie riforme e soppressioni si affiancò anche la revisione dei collegi e degli orfanotrofi affinchè ai ragazzini venisse insegnato un mestiere.
"Non mi piace chiamarla mostra - ha concluso la critica d'arte - questa è una specie di famiglia, questi sono i nostri antenati, almeno per quanto riguarda l'appartenenza a una terra di lavoro, di attenzione agli altri, di coraggio: il coraggio della quotidianità e della lotta per essere migliori".
Opere che documentano un pezzo di storia cittadina, dunque, ma anche piccoli gioielli artistici: come la tela del Coronaro, "Tobia, Toniolo e l'Angelo", con uno sfondo di sapore fiammingo, o il "San Francesco che riceve le stigmate" di Andrea Carlone o ancora il "Riposo dalla fuga in Egitto", copia da Genovesino. Infine, uno sguardo sul Novecento, con un bozzetto del "Battesimo di Cristo" di Francesco Tomé, un ritratto dello stesso Tomé di Carlo Vittori, la terracotta dei coniugi Mainardi (a loro si lega la palazzina di Cremona Solidale) opera di Ettore Denti e un'altra terracotta raffigurante la testa del Biazzi, opera di Pietro Foglia.